20 agosto 1949 - 20 agosto 2009

20 agosto 1949. Nando ha 10 anni, Alberto 8 anni, Giulio 7 anni e Virgilio 6 anni. Tra i rovi che costeggiano una strada sterrata trovano uno strano oggetto, e cominciano a giocarci. E' una granata da mortaio da 47 millimetri inglese, residuato del passaggio del fronte di cinque anni prima. Di lì a poco un boato fa rabbrividire gli abitanti di Faiolo, piccolo borgo a 3 chilometri da Montegabbione. Quattro vite innocenti sono spezzate, una intera comunità è gettata nel dolore.

ricordo

La nostra bravissima Romina Moretti, appartenente alla famiglia delle vittime, ha scritto e pubblicato una bella e commovente memoria, dal titolo: "Ricordo - Infinito crepuscolo". Siamo onorati di ospitare sulle pagine di questo sito tale lavoro, che fornisce tra l'altro spunti interessanti per la nostra ricerca storica. Buona lettura.

Fabio Roncella





Introduzione


       “Ricordo” dà un soffio di voce a Faiolo, un paese piccolo, semplice, cambiato nel tempo e che per la sua minutezza e naturalità rischia di cadere nell’anonimato.
       In “Ricordo” la memoria delle persone più anziane ricostruisce alcuni tratti dell’ animosa e operosa vita di Faiolo negli anni Quaranta e ricorda con vivo dolore un triste avvenimento che stravolse la vita di tre famiglie del posto e l’anima dell’intera comunità.
       Sessanta anni fa nella frazione morirono quattro bambini, Carlo (chiamato Nando) 10 anni e Alberto 8 anni figli di Quintilio e Margherita Moretti, Giulio di 7 anni figlio di Garibaldi e Triestina Giulietti, Virgilio di 6 anni figlio di Dante e Dina Amici. La loro morte fu causata dallo scoppio di una granata, probabile “lascito” del passaggio dei soldati durante la seconda guerra mondiale.
       Nel sessantesimo anniversario della morte dei quattro bambini nasce l’esigenza di avvalorare il loro ricordo, fare onore alla loro breve vita e indegna morte; riconoscere la dignitosa forza dei loro familiari; rendere l’accaduto uno spunto di riflessione su quanta sofferenza e dolore vivano quotidianamente i bambini di tutto il mondo.
       Sessanta anni fa come oggi.


“Ricordo”


       Passeggiando per la strada e per la campagna di Faiolo, parlando con le persone più anziane emergono i segni di una trascorsa e ben diversa vita contadina, e riaffiorano suggestivi ricordi della Storia, quella che vestiti i panni della guerra ha scosso e trasformato il mondo. Per chi è giovane è difficile immaginare un paese diverso da quello che è oggi. A guardarla adesso sembrerebbe che questa piccola frazione sia rimasta immune dal passaggio dei soldati.
       La memoria delle persone più anziane del paese riporta a scenari ben diversi da quelli di ora, non troppo lontani nel tempo e meritevoli di essere ricordati.

       Anni Quaranta. Faiolo è abitato da molte persone, vivaci e operose. Il paese è povero, la gente semplice, i rapporti molto familiari e solidali. È come vivere in un’unica grande famiglia.
       Le strade polverose e un po’ sconnesse danno al paese il sapore e il colore della terra. Le vie principali sono due; lungo i loro bordi le case sono costruite con grigie e fredde pietre locali. Sottoscala e stanze non abitate attigue alle case ospitano galline, conigli, maiali e a volte anche pecore. Persone e animali condividono cibo, spazi e avventure.
       Tra i desideri di chi vive in paese c’è quello di avere al più presto l’acqua nelle abitazioni. Sono soprattutto le donne e i bambini a sperare di veder presto scorrere a casa l’acqua liberandosi così dal faticoso compito di andare a prenderla alla fonte ogni giorno. Questa mansione è assai faticosa perché la brocca piena d’acqua è pesante e la strada che congiunge la fonte al paese è una ciottolosa salita. Chi va a riempire la brocca mette sulla testa un anello di stoffa arrotolata, chiamato “coroja”, vi poggia sopra la brocca colma d’acqua e si incammina per la ripida salita, manifestando straordinarie doti di equilibrio paragonabili a quelle dei più esperti funamboli.
       La sera, dopo il tramonto, da fuori le finestre si intravede all’interno delle case una fioca luce che proviene da una candela o dal lume a petrolio; chi non possiede né l’una né l’altro si affida esclusivamente alla luce del sole e al chiarore che diffonde la luna nelle serate d’estate, musicate dal canto dei grilli.
       Nessuna casa possiede una stanza adibita ai servizi igienici, ma l’aperta campagna si sostituisce a questi in modo più che egregio, con piccole difficoltà nel periodo invernale.
       A metà della via interna c’è una scuola; una soglia di pietra grigia e un arco a tutto sesto indicano il suo ingresso. Nonostante la frequenza scolastica sia obbligatoria, questa non è considerata tale dalla gente del paese. La scuola, infatti, è intesa piuttosto come “un’alternativa”, da prendere in considerazione quando i bambini non devono svolgere altre attività ritenute dai genitori più necessarie, come lavorare nei campi o accudire agli animali.
       Ognuno vive come meglio può facendo, come si suole dire, di necessità virtù.
       Tra la gente circolano pochissimi soldi o niente e il baratto è il modo più diffuso per procurarsi i beni di primissima necessità.
       Chi possiede un piccolo orticello raccoglie le verdure e le vende alla fiera o le baratta con formaggio, uova o altro cibo. All’alba le vie di Faiolo sono percorse dalla lunga e sottile ombra di Filippo. Imbracciato il canestro di vimini, Filippo con il berretto in testa e la giubba sulle spalle va fino a Roma, a piedi o con altri mezzi di fortuna, per vendere le nutrienti uova delle sue preziose galline.
       Le mucche, per quelle poche persone che le possiedono, rappresentano la ricchezza della natura: latte fresco e carne genuina. Per i contadini le mucche sono animali da lavoro e da traino indispensabili: sotto il peso del giogo la loro forza domina la campagna e la disegna con la lama dell’aratro; per le strade il rumore dei loro zoccoli accompagna quello delle ruote del carro, da queste parti il più lussuoso mezzo di trasporto in competizione con il mulo e la somara. Insegnare alle mucche a trainare il carro o l’aratro non è semplice e i contadini dedicano a questa attività molto tempo e attenzione.
       Domenica e Annunziata, come molte altre donne del paese, portano a pascolare pecore e maiali ( “a pastura” come dicono in paese). Il latte di pecora per le donne significa formaggio, di un gusto così raffinato che, in futuro, metterà paura al miglior parmigiano. La pecora è anche sinonimo di lana. La sera, d’inverno, dopo cena donne e bambine si siedono intorno al focolare e tra una risata e l’altra scarmìnano la lana: prendono un pezzetto di lana e lo muovono rapidamente tra le dita trasformandolo in un fiocco soffice e voluminoso. L’abilità nel compiere questo gesto è sorprendente e maggiore è quella delle donne più anziane che, con mani scarne e segnate dal tempo, filano la lana scarminata, che in seguito è utilizzata per intrecciare maglioni e coperte, per proteggersi dal freddo e rendere più confortevoli le poche ore di riposo su materassi e cuscini. Intorno ad ogni lavoro di artigianato ci sono sempre almeno due generazioni: i bambini che imparano e gli anziani che insegnano.
       Riuscire a barattare il maiale alla fiera significa fare un buon affare. Il grasso della sua carne, bianco e soffice come il burro, è trasformato in gustoso lardo e morbido strutto per saporire e conservare le pietanze. Nei soli giorni di festa, o considerati tali, è consentito ai bambini di mangiare una fetta di pane dopo averla strusciata sul lardo. In quell’occasione i palati godono di un sapore così raro e delizioso da rendere ancora più speciale la giornata. Ce ne fossero di giornate di festa!
       Per ingannare il tempo del pascolo le donne si impegnano in lavori manuali definibili di “pregiatissimo artigianato”: ricamano stoffe, con una precisione e una pazienza certosina, degne di essere esposte alle mostre più famose di “pizzo e ricamo” e, con i ferri, lavorano calze calde e morbide coperte colorate per l’inverno.
       Molti non hanno niente e si affidano alla bontà di chi sta meglio di loro per avere un “tozzo di pane” da mettere sotto i denti.
       Al centro del paese ci sono due grandi forni dove le donne, che riescono a trovare un po’ di farina, cuociono il pane. Già all’alba vicino al forno ci sono pezzi di stoffa, di solito di colore rosso o blu, o un bastone che servono come segno per indicare la fila da rispettare per la cottura.
       Da una piccola stanza al piano terra di una casa del paese proviene il rumore di un martello. È il rumore di chi si diletta nel mestiere di ciabattino, il signor Giovanni. Il suo tavolo da lavoro, gelosamente custodito, è pieno di attrezzi e il suo laboratorio è un luogo di curioso divertimento per i bambini. Con un sottile ma resistente ago Giovanni ripara le scarpe. Intorno ai bordi e sotto le suole ci mette le “bollette” , puntine di metallo che servono a non far consumare le suole. Poveri piedi quando le punte delle bollette consumano tutta la scarpa e arrivano alla carne!
       Qualche famiglia, come ad esempio i Verzili e i Moretti, per cercare di guadagnare qualche soldo, o per lo meno di provvedere alle necessità dello stomaco, tentano di far fortuna altrove e raccolte le poche cose possedute in valigie di cartone si trasferiscono nelle campagne prossime alla città di Roma per coltivare un orto e vendere a mercati più redditizi i prodotti della terra. Qualcun altro va in Città ad intraprendere lavori alternativi a quelli che offre la campagna dilettandosi come muratore o imbianchino.
       I bambini a Faiolo sono numerosi e rendono allegro il paese. Nessun angolo della frazione è privo di vita. La tristezza dovuta alla povertà rende tutti più uniti. C’è voglia e bisogno di stare insieme per affrontare la vita.
       Tra le pietre delle case e le fessure di porte e finestre passano gli odori della terra, i profumi dei fiori, il sapore dell’erba; il rumore e l’artiglio graffiante del vento di tramontana, gocce di pioggia e raggi di sole. Per strada si sente il rumore degli zoccoli dei buoi, l’odore di animale, le voci della gente. Tutto intorno al paese ci sono distese di campi coltivati, orti e bosco.
       I fiori della primavera in estate cedono il passo al biondo del grano e le canzoni dei mietitori rallegrano l’aria accompagnando il canto degli uccelli. D’inverno il paesaggio si colora di bianco; in autunno odora di vino e luccica di rame.
       Tutti, giovani, vecchi, bambini, uomini e donne contribuiscono a loro modo e secondo le proprie possibilità al mantenimento della famiglia.

22 agosto 2009
cartolina d'epoca - Via della Stazione, la via principale di Faiolo

       Allo scoppio della seconda guerra mondiale alcuni giovani, partiti per il militare, si trovano a combattere nei campi di guerra. L’uomo, in guerra, ha la “protezione più assurda” e non tutti in seguito avranno la fortuna di riabbracciare in vita i loro cari. In paese il sapore amaro della guerra arriva attraverso le poche lettere che i familiari ricevono dai figli e dai mariti al fronte. Quando, al posto di una lettera, si riceve una cartolina postale il silenzio e il dolore scendono nel cuore di chi ha perso per sempre un padre, un figlio, un marito, un uomo.

       Nel corso dei grandi eventi della storia, quelli che finiscono sui libri di scuola con l’intento di rimanere impressi nel tempo e nelle menti, accade che in Italia l’esercito tedesco sta battendo in ritirata, mentre gli Alleati avanzano rapidamente.

       Con la primavera del 1944 anche a Faiolo arrivano i cupi e tristi colori della guerra che portano un velo di grigio alla verde campagna. Le giornate paesane scorrono in un clima di profonda tristezza. Gli alberi dei ciliegi, come ogni anno in questo periodo, stanno per dare i loro dolci frutti, ma un sapore più amaro sta per diffondersi nell’aria, un acre odore di sangue.
       Le famiglie che erano andate a Roma a far fortuna, per salvarsi dai bombardamenti rientrano in paese riportando qualche soldo insieme a speranze di salvezza. La ritirata tedesca, però, non si dimentica di passare per Faiolo e si trascina dietro l’avanzata anglo-americana.
       Gli uomini del paese con la pala e il piccone sotto una calda pioggia di sudore si disperdono in luoghi nascosti alla vista e si affannano a scavare delle grotte. Le mogli, seguendo una sorta di processione, collocano al loro interno i pochi averi posseduti, cibo e qualche animale. Quando vengono scorti in lontananza i soldati, o quando viene udito il raggelante suono della sirena che preannuncia l’arrivo degli aerei da bombardamento, tutti, come stormi impauriti, corrono alle grotte per mettersi in salvo.
       I Tedeschi avanzano a piedi, arrabbiati, stanchi e affamati. Entrano nelle case della gente, mangiano, si dissetano e poi chiedono: “ Omini, muli, somari” che servono loro per portare le armi e gli zaini.
       Davanti alla canna di fucile del nemico, Teresa, presa dalla paura, non capisce cosa le sta chiedendo il soldato. Nella sua mente crede che lui abbia ancora fame e così si affretta ad andare in dispensa e prende per lui un cesto pieno di uova. Il soldato si sente preso in giro e si accanisce su di lei con parole molto offensive, ma per fortuna non alza le mani sulla povera donna.
       Gli uomini che si rifiutano di portare gli zaini dei Tedeschi rischiano di essere uccisi. Terzilio lungo la strada tra Montegabbione e Faiolo incontra un gruppetto di soldati tedeschi che, posato a terra lo zaino, incitano l’uomo a prenderlo sulle sue spalle; lui rifiuta più volte di eseguire l’ordine e un colpo di fucile lo fa cadere per sempre a terra. Gli uomini che obbediscono, invece, sono costretti a cedere gli animali per il trasporto o a portare loro stessi il pesante fardello sulle spalle. In un giorno molto caldo di giugno, Antonio, Arturo ed Edoardo con i fucili puntati alle spalle e il cuore in gola per la paura, camminano fino ad una località denominata Montagnola, nel comune di Piegaro, a circa 10 chilometri di distanza da Faiolo, sotto il peso dei pesanti zaini tedeschi. Raggiunta questa località, punto di raccolta delle truppe tedesche, i soldati li lasciano liberi di ritornare al paese e, come lepri selvagge, raggiungono l’adorata casa.
       Quando i soldati si avvicinano alle abitazioni, le donne e i bambini cercano di scappare in rifugi impensati ed ecco che la canna del camino diventa uno dei posti più sicuri e ambiti della casa. La tranquillità quotidiana del paese è ormai scossa. Alle 21.00 c’è il coprifuoco, tutte le finestre sono chiuse e le candele spente; le serate un tempo trascorse a chiacchierare al fresco sotto il chiarore della luna sono diventate un ricordo. Le attività quotidiane di un piccolo paese di campagna sono scandite e stravolte dalla volontà dei soldati.
       Vincenzo ha nella sua stalla delle possenti mucche. Un gruppetto di soldati tedeschi si avvicina ad esse e ne uccide sei. Imponente è il sentimento di amarezza nell’animo del padrone delle bestie che per salvare la sua vita è costretto a tacere. Come se non bastasse, i soldati danno ordine di non consumare la carne e le sei bestie sono messe a marcire sotto la terra utilizzata per chiudere un largo e profondo cratere dovuto allo scoppio di una bomba.
       Gli Inglesi, infatti, avvistati i Tedeschi, nel tempo di pochi giorni lanciano su Faiolo quattro potenti bombe (1). Molte donne sono al pascolo con le pecore. Tra queste ci sono Letizia, Pasquina e Natalina. Si trovano con il loro gregge in un terreno sovrastante la fonte, chiamato Poderetto. All’improvviso odono il suono della sirena e, alzati gli occhi al cielo, vedono gli aerei da bombardamento. In fretta si lasciano scivolare lungo una scarpata e si abbracciano strette per condividere e sostenere la paura. Vedono una fitta e minuta pioggia di palline nere cadere dall’alto che man mano che si avvicina diventa più grande. A seguire sentono forti boati e guardano le schegge delle bombe passare sopra le loro teste. Appena gli aerei si allontanano le donne corrono in paese. Trovano una gran confusione. La gente impaurita strilla e corre a destra e a manca, ognuno in cerca dei suoi cari. Nessuno è morto per causa dell’esplosione, ma diverse persone sono state ferite. La casa di Letizia è stata quasi del tutto abbattuta. Lei, nonostante Alighiero cerchi di trattenerla, vuole entrare ugualmente a cercare degli oggetti a lei cari. Una forte e soffocante paura riempie il suo cuore quando, entrata in cucina e alzati gli occhi, vede che il tetto della casa è il cielo. Altre case sono state rovinate e chi non ha un luogo per trovare ristoro è fatto alloggiare all’interno di alcune aule della scuola.
       In certe occasioni i soldati si mostrano gentili, soprattutto con i bambini ai quali danno dolci e caramelle. Alcuni militari odiano la guerra, lo si capisce dai loro sguardi e dai loro gesti. Si sentono travolti in un vortice di violenza e soffrono di essere lontani dalle loro case. In una sera di silenzio come ormai è d’ordine, Margherita, arrivata al termine della gravidanza, si trova a partorire proprio mentre nella sua casa alloggia un Portordine tedesco. La salute del bambino è in pericolo ed è necessaria una medicina che purtroppo si trova solo nella farmacia di Città della Pieve, a oltre 10 chilometri di distanza. Non è ancora buio, ma le lancette dell’orologio hanno superato le 21.00. Nessuno può più uscire da casa e la farmacia è lontana da raggiungere a piedi. Il Portordine intuisce cosa sta accadendo e con la sua moto va a prendere il farmaco necessario. Al ritorno siede al tavolo della famiglia che lo ospita e racconta la sua vita. Dice di avere un figlio, finito in chissà quale parte del mondo, e spera che non gli sia fatto del male. Così, come per una sorta di gesto propiziatorio, il Portordine si dimostra generoso e benevolo con chi ne ha bisogno, rischiando di essere ucciso dai suoi stessi compagni.
       Mentre i Tedeschi arretrano gli Inglesi avanzano. Gli eventi della guerra sono sempre costellati da fatti imprevedibili e anomali. Un folto gruppo di soldati inglesi è giunto all’ingresso di Faiolo. Aerei Alleati sorvolano la zona. I compagni sono scambiati per nemici. Dagli aerei amici vengono sganciate bombe che colpiscono il gruppo. Gli Inglesi cercano di farsi riconoscere e sventolano in aria un fazzoletto bianco ma per molti di loro l’avventura termina in quei campi. Raggiunto il paese, gli Alleati organizzano rapidamente un punto di Comando e allestiscono all’interno della scuola un’infermeria.
       I soldati, sia tedeschi che inglesi, spesso cercano tra le donne ore di piacevole svago e per le signore sottrarsene a volte è davvero complicato.

       Con la ritirata delle truppe tedesche anche gli Inglesi lasciano il paese per inseguire i nemici.
       Pian piano Faiolo torna alla tranquillità; il paese riprende i suoi colori, il verde degli alberi, il giallo del grano e il rosso profumato dei papaveri.
       Uomini e donne tornano a lavorare, i bambini a sorridere; la sera non c’è più il coprifuoco e ora si può trascorrere la serata al fresco sotto il portico di casa e per le strade. Come tante api operose, tutte le persone si impegnano per far sopravvivere il loro alveare. La vita è affannosa; la ricostruzione dei luoghi e delle menti difficile, c’è molta povertà, ma i cuori sono pieni di speranze.
       Le grida felici dei bambini riecheggiano tra gli angoli della strada e tra le pietre delle case. La sera, quando la luce del sole lascia spazio al chiarore della luna, i ragazzi più grandicelli vanno di nascosto nei campi a rubare qualche frutto o qualche pannocchia da mangiare. I padroni dei campi se si accorgono del furto lanciano grida furiose, ma poi lasciano correre via i ragazzi che trasformano il silenzio per la paura di essere scoperti in grida di allegria.
       In paese c’è un Sali e Tabacchi di proprietà della famiglia Giulietti Garibaldi; due negozi di generi alimentari, uno della famiglia di Arturo ed Elvietta Giulietti e l’ altro della famiglia di Giulietti Garibaldi. I prodotti venduti sono genuini e di ottima qualità. Con fine intelligenza gli spaghetti vengono venduti confezionati all’istante in fogli di carta e così si evita uno dei problemi più grandi che colpirà i tempi che saranno definiti moderni: lo smaltimento della plastica. Triestina, la moglie di Garibaldi, vende anche un’eccellente biancheria di marchio italiano, tanto che alcuni capi di lenzuola, tovaglie e fazzoletti saranno per lungo tempo parte della biancheria d’uso delle famiglie del paese.
       A Faiolo è possibile frequentare la scuola fino alla terza elementare, poi chi vuole, ma soprattutto chi può, deve completare gli studi a Montegabbione. Non c’è la corriera che permetta di raggiungere la scuola e così i bambini si spostano a piedi e devono partire la mattina molto presto, soprattutto chi abita nelle zone estreme della campagna. Il greve disagio che viene vissuto fa sì che i bambini di sette - otto anni siano già “ uomini ” e si diano da fare quanto possono. Come adulti vanno a “fare l’erba” per gli animali, a pascolare pecore e maiali, ad aiutare a fare l’orto e raccogliere la legna. Le persone che non hanno soldi per comprare la legna vanno a rubarla nei boschi la mattina, quando è ancora buio. Raccolgono tutto quello che possono nel cosiddetto “fastello”, lo appoggiano sulle spalle sopra un’altra tavola di legno chiamata “stacchia”, e poi in fretta a casa; all’alba sono già di ritorno con il pesante bottino.
       Tra i bambini del paese ci sono due fratelli, Carlo, chiamato da tutti Nando, e Alberto. Il padre Quintilio lavora a Roma. La mattina molto prima del canto del gallo sono in piedi senza mai bisogno di essere svegliati. Insieme ad altre donne del paese Nando e Alberto si prendono amorevolmente a braccetto e partono per l’avventura furtiva al bosco, intonando una lieve canzone:

       “Evviva il lago dove son nato
       La mamma mia mi ha abbandonato
       Con gli occhi rossi e la faccetta scura
       Dei bimbi belli io ho paura”

       Alle cinque di mattina sono già di ritorno con il fastello della legna. Grazie a loro la legnaia di casa Moretti non è mai vuota. Al rientro dal bosco, dopo essersi rinfrescati il viso, vanno a scuola, poi di nuovo a casa per svolgere altre faccende. C’è da pensare per gli animali e perciò fuori di casa nuovamente tra i campi. Affilata la lama del falcetto (2) con la cosiddetta “cota” (3) trascorrono parte dei loro pomeriggi a falciare l’erba, per garantire ai conigli della loro stalla un nutrito pasto. Riempita la cesta d’erba, i due fratelli caricano a turno il pesante fardello sulle spalle e lo portano a casa come un trionfo. Al rientro solo un breve riposo. Prima che cali il sole, se non è inverno, bisogna portare al pascolo il maiale. I due fratelli si occupano del maiale con gran cura. Lo pascolano nelle zone migliori e gli portano da mangiare la “lavaticcia” (4). Fanno attenzione che ingrassi bene in modo da avere ottima carne dalla sua lavorazione o un ottimo guadagno dalla sua vendita. Nell’ottobre del 1948 un nuovo nato arriva in casa Moretti. I due fratelli sono così entusiasti che parlano sempre di lui. Quando la mamma Margherita non può, Nando e Alberto accudiscono al piccolo con molta cura e così, come tanti altri bambini del paese fanno con i fratelli minori, i due danno da mangiare e fanno da balia al piccolo fratello. La gioia più grande per loro sarebbe vederlo presto camminare e così ai primi tentativi del piccolo di muovere i primi passi i fratelli maggiori gli dedicano molto tempo a fargli fare esercizi di movimento.
       Garibaldi e Triestina abitano vicino al forno. Hanno un bel bambino di nome Giulio, primogenito di altri due figli. È quasi coetaneo di Alberto. I genitori sono molto impegnati tra il Sali e Tabacchi e il generi alimentari e Giulio li assiste nel lavoro cercando di imparare i trucchi del mestiere sin da piccolissimo. Al bisogno anche lui si prende cura della sorella e del fratello minori.
       Tra le numerose zie di Nando e Alberto c’è Dina, una delle sorelle del loro padre Quintilio. Dina in passato si è trasferita a Roma e ha sposato Dante Amici, operaio imbianchino. Dina ha due figli. Il primogenito è un bimbo che, in una sorta di curiosa coincidenza con il nome del padre, non può che chiamarsi Virgilio, la secondogenita è una femmina dai capelli color oro. L’estate Virgilio trascorre le vacanze dal nonno Tommaso a Faiolo e in questo modo si assicura da mangiare più che a Roma. Non è avvezzo alla dura vita di campagna, ma segue assiduamente le orme dei cugini maggiori.
       I teneri occhi di Nando, Alberto, Virgilio e Giulio hanno visto passare i soldati, ma erano molto piccoli e non hanno ricordi di quel periodo. Hanno più che altro sentito parlare della guerra, come se ne può parlare ai bambini, ma non ne comprendono l’essenza. Ironia della sorte, la ferocia umana li ha voluti tutti e quattro, insieme, protagonisti di un tristissimo episodio.
       Il 20 agosto 1949 è un afoso sabato di vacanza dalla scuola, ma non dai lavori di campagna. Nando ha 10 anni, Alberto 8 anni, Giulio 7 anni e Virgilio 6 anni.
       Sono trascorsi cinque anni dal passaggio del fronte e la guerra inizia ad essere un fresco ma attenuato ricordo, una paura superata. Nessuno più pensa che possa di nuovo lasciare tracce di sè a Faiolo.

Via Cupa
Via Cupa a Faiolo, come è oggi

       Come ogni pomeriggio, Nando e Alberto portano il maiale al pascolo e nel frattempo falciano l’erba. Ogni tanto allietano il palato e alleviano la fatica gustando le more selvatiche, a volte grandi come fragole. I fratelli si spingono fino all’orto del loro nonno, Angelo, e si trattengono a parlare con lui che sta piantando i cavoli. Per la sapienza che gli è data dall’età, il nonno impartisce ai due lezioni di vita, senza trascurare l’aspetto più pratico e agreste:la coltivazione dell’orto. Tra lavoro e chiacchere si fanno le sei della sera e i due fratelli decidono di rientrare a casa per non far preoccupare la mamma Margherita. Dopo aver chiuso il maiale nella stalla, s’incontrano con il cugino Virgilio che trascorre le vacanze a Faiolo dai nonni. Con Virgilio e l’amico Giulio, Nando e Alberto si dirigono lungo una strada di campagna sterrata incanalata tra due cupi declivi, che le danno la denominazione di “strada cupa”. Questa strada è percorsa ogni giorno da molte persone perché permette di raggiungere i campi, il bosco e una zona denominata Podere Olle. Quel giorno, andando verso sera, il destino vuole che solo i quattro amici si trovino in un eterno momento lungo la via.
       Mentre mangiano more e giocano trovano nascosto tra i rovi uno strano oggetto. Presi dalla curiosità, come è proprio dei bambini, iniziano a toccarlo. Notano che l’oggetto ha uno strano anello e aiutandosi con un sasso i bambini cercano di estrarlo. Il gesto è fatale. Un forte boato riecheggia in tutto il paese. La paura si risveglia subitanea nei cuori e non è difficile per la gente di Faiolo riconoscere di cosa si tratta: è lo scoppio di una granata. Tutta la gente si raduna per la strada. I mestieri vengono abbandonati. Giovanni, lasciata cadere a terra la scatola delle bollette, corre in piazza. Rosa abbandona a terra la brocca dell’acqua e rimane impietrita dallo spavento. Di corsa ritorna in paese anche chi al momento dell’esplosione si trovava nei campi e a raccogliere legna. Diana abbandona la cesta dell’erba e si dirige ansiosamente a vedere cosa è successo. Letizia, dal torrente denominato Bossolo, sudata e impaurita, raggiunge in fretta Triestina, anche lei in agitazione. Angelo è vicino al punto dell’esplosione, abbandona la zappa e per primo raggiunge il luogo.
       In paese ognuno cerca i propri cari in una confusione generale. Tutte le mamme chiamano i figli e tirano un profondo sospiro di sollievo quando li vedono comparire sulle proprie gambe. Intanto la folla inconsapevole si dirige verso la “strada cupa” e, giunta sul luogo, una terribile scena si mostra ai suoi occhi e rende il nome della strada ancor più appropriato.
       Fumo, terra mescolata a sangue, rovi ardenti.
       I resti dei corpi di quattro bimbi giacciono a terra senza vita. Sono irriconoscibili e tremendamente scomposti, disposti in cerchio come quattro petali di un fiore.
       Nando ha il busto troncato dagli arti inferiori; Virgilio giace a terra con gli occhi chiusi come se dormisse. Il nonno Angelo prende in braccio Alberto nella speranza di poterlo salvare ma, tra le sue braccia, il nipote esala l’ultimo respiro. Nel suo volto rimane impresso un sorriso, quel sorriso che probabilmente aveva mentre stavano giocando. Triestina a braccetto con Letizia cammina su e giù tra i corpi dei bambini sperando di non trovare tra loro Giulio, che non aveva risposto al richiamo della madre. Come una fiera in gabbia, Triestina cammina avanti e indietro più volte sempre più agitata, più volte guarda i bambini a terra, finché riconosce in un corpo esanime e con il volto bruciato le mutande del figlio. La donna sviene a terra per il dolore.
       I vestiti dei bambini, ridotti a brandelli, sono sparsi come foglie secche tutto intorno all’esplosione.
       L’aria odora di bruciato e ha il sapore caldo e umido del sangue. In cielo le grida strazianti di dolore dei familiari e di tutta la gente del paese. Il fratello minore di Nando e Alberto muove da solo in quel giorno i primi passi.
       È il tramonto, luce calante. Il momento sospeso tra la fine del giorno e l’arrivo della notte; un momento che emana profonda tristezza nell’andare eterno delle quattro piccole anime.
       Sopraggiungono i Carabinieri, il Sindaco Vladimiro Giulietti, il Parroco Don Fernando, il Medico Tortolini e gli Artificieri per gli accertamenti. I quattro corpi sono coperti con un lenzuolo bianco e vigilati dai carabinieri per tutta la notte, insieme alla gente del posto che non ha la forza di abbandonare i quattro piccoli fiori. Per tutta la notte le forze dell’ordine e la popolazione cercano di ricomporre i cadaveri. A mezzanotte arriva la cosiddetta “Cavalcata” (5) da Città della Pieve e, accertata la situazione, ordina di condurre i bambini in Chiesa. Ai bambini viene indossato l’unico vestito bello che ciascuno di loro possedeva. Il vestito della Cresima e della Comunione, l’unico vestito indossato per tutte le grandi occasioni.
       Seguono giorni di intensa confusione fra tutta la gente del paese, profondamente scosso dall’accaduto. Gli artificieri accertano che l’esplosione è stata causata da una “granata da mortaio da 47MM inglese” probabilmente rimasta inesplosa dal passaggio del fronte. Le loro spiegazioni però non bastano alla gente a comprendere cosa sia accaduto veramente, non bastano a sostenere gli animi e a dare conforto ai tanti “perché” e tutti continuano a ripetere tra le lacrime che il segreto i bambini lo hanno portato via con loro.

Madonna delle Rose
foto d'epoca - la piccola chiesa della Madonna delle Rose a Faiolo

       È il 22 agosto il giorno in cui sono celebrati i funerali organizzati in forma solenne dal Comune. L’afa estiva cede il passo al sudore della disperazione e al pianto del dolore.
       Fiori profumati contornano le quattro bare bianche allineate all’interno della Chiesa di Faiolo; una Chiesa troppo piccola per contenere un dolore tanto grande. Margherita per il dolore non riesce ad entrare in Chiesa e sviene ogni volta che sta per avvicinarsi alla porta d’ingresso.
       Il giorno dell’addio una fiumana di gente porta l’ultimo saluto ai bimbi e cerca di confortare le famiglie.

       E pensare che Nando e Alberto con la loro famiglia erano rientrati a Faiolo per evitare i bombardamenti della guerra che stavano devastando Roma; che Virgilio era rimasto a trascorrere l’estate dai nonni a Faiolo per stare con i cugini e assicurarsi almeno da mangiare; che Nando, Alberto, Virgilio e Giulio volevano solo giocare ed essere amici come ogni giorno, come tutti i bambini!


       I bambini si trovano al cimitero comunale, uno accanto all’altro come in quel loro ultimo gioco. Sopra le loro lapidi una scritta a ricordo:

             “Vittime di una tragica sciagura”.

       Per molti anni il tragico avvenimento è stato vissuto come un dolore di tutta la comunità. Il 20 agosto di ogni anno il paese si chiudeva in un profondo silenzio e calava nel cuore della gente un oscuro velo di tristezza. La sventura fu così imponente che anche il giornale regionale (6) riporterà la triste notizia e il Sindaco Vladimiro Giulietti darà ordine di tenere esposte le foto dei bambini al comune di Orvieto per un mese.
       Ai genitori rimasero solo silenzio, dolore da soffocare e vite e giorni da ricostruire. Alzare la testa e andare avanti. Con affanno, ma dignitosamente, ogni famiglia ha proseguito la sua strada, onorato i figli persi e cresciuto fratelli e sorelle con amore.

       A sessanta anni di distanza da quel tragico evento gli occhi di chi lo ha vissuto si fanno ancora rossi e gonfi di lacrime al ricordo.

Romina Moretti



Note

(1) La memoria di alcune persone testimonia che una bomba cadde all’incrocio tra la Via dell’Oca e la “strada cupa” ; una lungo la variante all’incrocio con la “strada cupa” non lontano da dove ora c’è il semaforo; una nella zona chiamata il Poderetto sovrastante la fonte e una fuori dal paese nei campi che fronteggiano Parrano.

(2) Piccola falce usata per tagliare l’erba.

(3) Pietra utilizzata per affilare la lama di falci e coltelli.

(4) Resti di cibo e liquidi che venivano raccolti in un secchio e dati in pasto ai maiali.

(5) La Cavalcata era composta dal Magistrato competente per territorio e dai collaboratori del suo ufficio.Veniva impropriamente detta Cavalcata perché i componenti si spostavano a cavallo.

(6) Cfr. “Umbria corriere del mattino”, 24 agosto 1949. Il giornale è consultabile presso l’emeroteca della Biblioteca Augusta di Perugia.


Ringraziamenti


       Grazie alla collaborazione di Daniele, Sonia, Roberto e Gabriella, Tonino e Rita, Paolo Pupo, ai racconti partecipati e commossi di Letizia e Diana, alla testimonianza del maestro Remo Castri, alla Compagnia Carabinieri di Montegabbione che ha contribuito al rinvenimento di documenti d’archivio, alla fiducia e alla mano esperta del Professore Alfredo Roncella, alla sottile creatività di Federico.

Romina Moretti





20 agosto 2009. Ben 60 anni dopo, la nostra comunità si decide finalmente a ricordare collettivamente quel momento drammatico, ricordo fino ad oggi vissuto con addolorata compostezza esclusivamente nell'intimità delle famiglie che quel giorno hanno perso quei cari innocenti. Dopo una bella cerimonia religiosa con il nostro vescovo Mons. Giovanni Scanavino, è stata apposta una lapide commemorativa, con l'intervento della fanfara dell'Arma dei Carabinieri.


22 agosto 2009